Daniele, servo del Dio vivente!

Cosa significa essere un servo del Dio vivente? Come possiamo imitare la fede e la perseveranza di Daniele, che ha affrontato la fossa dei leoni per non rinunciare alla preghiera?

Queste sono alcune delle domande che mi sono posto leggendo il capitolo 6 del libro di Daniele, che narra la storia di questo profeta ebreo deportato in Babilonia e poi in Persia, dove divenne uno dei principali consiglieri del re Dario.

Daniele era un uomo integro, saggio e dotato di uno spirito eccezionale, che lo rendeva superiore agli altri governatori e satrapi del regno. Questo suscitò la gelosia e l’invidia di alcuni di loro, che cercarono di trovare un pretesto per accusarlo e farlo condannare a morte.

Non riuscendo a trovare nessuna colpa in lui, decisero di sfruttare la sua fedeltà al Dio di Israele, che egli serviva con perseveranza, pregando tre volte al giorno con le finestre aperte verso Gerusalemme.

Così, convinsero il re a emanare un decreto che proibiva di rivolgere supplica a qualsiasi dio o uomo, all’infuori di lui, per trenta giorni, pena la fossa dei leoni.

Daniele, però, non si lasciò intimidire da questo divieto e continuò a pregare il suo Dio come sempre. Fu così scoperto e denunciato al re, che, pur essendo affezionato a lui, non poté revocare il decreto, secondo le leggi dei Medi e dei Persiani, che erano irrevocabili.

Daniele fu quindi gettato nella fossa dei leoni, mentre il re gli disse: «Quel Dio, che tu servi con perseveranza, ti possa salvare!».

Il re passò una notte insonne, senza mangiare né divertirsi, e al mattino si recò alla fossa, chiamando Daniele con voce addolorata: «Daniele, servo del Dio vivente! Il tuo Dio, che tu servi con perseveranza, ha potuto liberarti dai leoni?».

A sua grande sorpresa, udì la voce di Daniele, che rispose: «Re, vivi per sempre. Il mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso le fauci dei leoni ed essi non mi hanno fatto alcun male, perché sono stato trovato innocente davanti a lui e anche davanti a te, o re, non ho fatto nulla di male».

Il re fu pieno di gioia e fece tirare fuori Daniele dalla fossa, constatando che non aveva nessuna ferita. Poi ordinò di gettare nella fossa i suoi accusatori e le loro famiglie, che furono divorati dai leoni prima ancora di toccare il fondo.

Infine, il re pubblicò un editto in cui lodava il Dio di Daniele, dicendo: «Egli è il Dio vivente, che sussiste in eterno; il suo regno non sarà mai distrutto e il suo dominio durerà fino alla fine. Egli salva e libera, fa miracoli e prodigi in cielo e in terra. Egli ha salvato Daniele dalla zampa dei leoni».

Questa storia ci insegna molte cose sul nostro rapporto con Dio e con il mondo. Daniele ci mostra come essere veri servi del Dio vivente, che non è un’idea astratta o una forza impersonale, ma una Persona reale, che ci ama, ci ascolta e ci protegge.

Servire il Dio vivente significa riconoscere la sua sovranità, la sua santità e la sua fedeltà, e rispondere con obbedienza, adorazione e gratitudine. Significa anche avere fiducia in lui, anche quando le circostanze sembrano avverse e i nemici ci minacciano.

Daniele non si lasciò spaventare dalla fossa dei leoni, perché sapeva che il suo Dio era più potente di qualsiasi forza umana o animale. Egli non cercò di scappare o di negoziare, ma si affidò alla volontà e alla provvidenza di Dio, che lo salvò in modo straordinario.

Servire il Dio vivente significa anche essere testimoni del suo amore e della sua verità nel mondo, anche quando questo ci costa la persecuzione o la sofferenza. Daniele non nascose la sua fede, ma la manifestò con coraggio e umiltà, senza compromessi né arroganza.

Egli non sfidò il re, ma lo rispettò e lo servì con lealtà, senza però rinunciare al suo Dio. Egli non odiò i suoi nemici, ma li perdonò e pregò per loro, senza però tacere la loro ingiustizia.

Daniele fu così una luce nel mezzo delle tenebre, una voce nel deserto, un segno di speranza per il suo popolo e per le nazioni. La sua vita e il suo esempio furono usati da Dio per glorificare il suo nome e per far conoscere il suo regno.

Noi, come Daniele, siamo chiamati a essere servi del Dio vivente, che ci ha salvati non dalla fossa dei leoni, ma dalla morte eterna, attraverso il sacrificio di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che è il leone di Giuda, il vincitore del peccato e della morte.

Come Daniele, siamo chiamati a pregare il nostro Dio con perseveranza, a confidare nella sua salvezza, a testimoniare il suo amore e la sua verità, a rispettare le autorità, a perdonare i nemici, a glorificare il suo nome e a far conoscere il suo regno.

Che il Signore ci dia la grazia di essere fedeli e coraggiosi servi del Dio vivente, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.